| NOTA STORICA L'incertezza
    sulla definitiva completezza del Sistema Solare non venne totalmente cancellata dalla
    scoperta di Plutone; per molti anni, anzi, continuò la ricerca di un nuovo pianeta, molto
    enfaticamente chiamato Pianeta X (dove X significava sì "decimo", ma
    aggiungeva una giusta dose di "mistero" allimpresa...).  Il
    principale argomento che spronava i ricercatori era la certezza che le irregolarità
    rilevate nei moti di Urano e Nettuno non potevano essere ascritte al minuscolo Plutone, di
    massa troppo piccola per assicurare anche una minima rilevabile perturbazione
    gravitazionale.Vennero pertanto attivate ricerche notevoli ed impegnative di oggetti celesti giacenti nei
    pressi del piano dell'eclittica, ma i ripetuti insuccessi finirono con lo scoraggiare
    anche i più accaniti sostenitori dell'esistenza del decimo pianeta.  Clyde Tombaugh
    stesso, dopo aver esaminato praticamente tutto il cielo visibile dallOsservatorio
    Lowell, giunse alla conclusione che avrebbe potuto anche esistere un pianeta come Plutone,
    ma solamente ad una distanza superiore a 60 U.A.
 I calcoli effettuati (quasi sempre basati sulle già citate anomalie orbitali di Urano e
    Nettuno) portarono alcuni astronomi a determinare le caratteristiche fisiche ed orbitali
    di questo ipotetico pianeta, ma con risultati spesso in contrasto tra loro.  C.
    Kowal, dopo aver effettuato calcoli analoghi, giunse ad una singolare conclusione: "Ho
    ottenuto predizioni perfettamente ragionevoli dell'orbita del pianeta sconosciuto usando
    sia i residui di Urano sia, successivamente, quelli di Nettuno; l'unico problema è che le
    due predizioni non vanno molto d'accordo tra loro..." (Littmann, 1989).
 Alcune delle "predizioni" relative al Pianeta X sono riportate nella seguente
    tabella:
 
      
        |  | Harrington | Powell | Gomes | Andersonn |  
        | Massa (MT ) | 4 | 0.35 | 0.49 | 5 |  
        | Distanza (A.U.) | 101.2 | 34.6 | 44 | 79-100 |  
        | T (anni) | 1019 | 204 | 292 | 700-1000 |  
        | Eccentricità | 0.411 | 0.335 | 0.05 | notevole |  
        | Inclinazione | 32.4 | 5.43 | bassa | bassa |  
        | Magnitudine | 14 | 14 | 14-15 | ? | (Da: Littmann, Sky & Telescope,
    6, 596; 1989) Il disegno delle orbite di tre di questi "candidati" è riportato nella Figura
    23 (Littmann, Sky & Telescope, December 1989, pag. 598): notiamo che
    per due di essi è già pronto persino il nome che dovrà avere allorchè venisse
    scoperto... 
  Anche dall'analisi delle comete furono tratte
    argomentazioni per ipotizzare la presenza di un pianeta trans-plutoniano.  
    Considerando le comete a corto periodo e raggruppandole in base a caratteristiche orbitali
    simili, si erano identificate delle famiglie che potevano essere associate ad un pianeta
    ed in tal modo nel 1950 Schütte assegnò a Giove 52 comete, a Saturno 6, a Urano 3, a
    Nettuno 8 e a Plutone 5; mise inoltre in evidenza una famiglia di altre 8 comete e le
    associò ad un ipotetico nuovo pianeta.  Considerando poi la media delle distanze
    afeliche delle comete di ciascuna famiglia, Schütte notò come vi era uno scarto di circa
    il 10% rispetto alla distanza afelica del pianeta associato; applicando lo stesso criterio
    statistico alla famiglia senza pianeta, ipotizzò per quest'ultimo una distanza dal Sole
    di 77 U.A. (Maffei, 1977). Inutile dire che anche in questo caso la ricerca del pianeta non diede alcun frutto.
 Questa situazione di stallo venne in qualche modo superata nel 1977 grazie alla scoperta
    di Chirone.
 Dal dicembre 1976, infatti, C. Kowal aveva intrapreso una ricerca sistematica di oggetti
    insoliti del Sistema Solare analizzando con un blink comparator lastre fotografiche prese
    in notti successive con il telescopio Schmidt da 48 pollici dellOsservatorio di
    Monte Palomar per un totale di 160 campi stellari; la magnitudine limite delle lastre era
    circa mv=21 e ciò avrebbe consentito di rilevare oggetti in lento movimento
    fino ad una magnitudine di circa 20 (Kowal, 1989).  E fu proprio grazie a tale
    campagna osservativa, conclusasi nel febbraio 1985, che si giunse, nellottobre 1977,
    alla scoperta di Chirone; ma questa scoperta non fu lunico risultato della survey di
    Kowal poichè fu accompagnata dallidentificazione di altri oggetti di natura
    asteroidale e cometaria.
 La tabella seguente sintetizza i risultati della ricerca:
   
      
        | OGGETTI SCOPERTI NEL CORSO
        DELLA SURVEY | IAUC |  
        | Asteroidi |  
        | 1976 YB | Oggetto tipo-Pallade; i=31, e=0.25 |  |  
        | (2101) Adone | Riscoperto nel Febbraio 1977 | 3041 |  
        | 1977 HB | Oggetto tipo-Apollo; q=0.7 | 3066 |  
        | (2060) Chirone | Scoperto in prossimità dellafelio; 17.8 U.A. | 2139 |  
        | 1978 TB | AsteroideTroiano |  |  
        | 1980 RB1 | Mars crosser |  |  
        | 1980 RG1 | Oggetto tipo-Amor | 3522 |  
        | 1980 RM1 | Mars crosser |  |  
        | 1980 WF | Oggetto tipo-Amor; q=1.08 | 3549 |  
        | 1981 QB | Oggetto tipo-Amor; q=1.08 | 3631 |  
        | Comete |  
        | P/Taylor B | Riscoperta nel dicembre 1976 | 3033 |  
        | 1977 f | Scoperta nellaprile 1977; q=4.65 | 3066 |  
        | P/Jackson-Neujmin | Riscoperta nel novembre 1978 | 3311 |  
        | 1979 h | Scoperta nel luglio 1979; q=2.28 | 3395 |  
        | 1983 t | Kowal/Vavrova; Scoperta nel maggio 1983 | 3868 |  
        | 1984 n | Kowal/Mrkos; Scoperta nellaprile 1984 | 3988 | (Da: Kowal, Icarus, 77, 122;
    1989) Certamente Chirone non poteva essere, nè per dimensioni nè per posizione, il
    misterioso pianeta ricercato per anni, ma cominciò con il tempo a profilarsi l'idea che
    potesse trattarsi del prototipo di una nuova classe di oggetti celesti che, assieme a
    milioni di oggetti molto piccoli, formasse quell'anello di detriti primordiali ipotizzato
    da Edgeworth e Kuiper allinizio degli anni 50.  Il termine utilizzato per
    identificare tali planetesimi è quello generico di Kuiper-Belt Objects, anche se
    A. Stern (1992) ha pittorescamente coniato il termine di ice dwarfs, sintetizzando
    in tal modo le caratteristiche principali di questi piccoli e ghiacciati corpi celesti.Grande importanza nell'individuazione di tali oggetti assume l'impiego dell'HST in forza
    delle limitazioni imposte dall'atmosfera, che rendono l'osservazione e la scoperta da
    Terra veramente problematiche.  E' recente, proprio grazie all'HST, l'identificazione
    di moltissimi oggetti in movimento sul piano dell'eclittica ad una distanza superiore a
    quella di Plutone (IAUC 6163, 17 Aprile 1995).
 
 IL SISTEMA PLUTONE-CARONTE E' sintomaticamente proprio da Plutone e dal suo
    satellite Caronte che possiamo iniziare l'analisi di questa nuova popolazione di oggetti
    del Sistema Solare: sono molti, infatti, i problemi irrisolti che il sistema del nono
    pianeta ci sottopone, e altrettante le nuove prospettive.A proposito della classificazione di Plutone come pianeta già abbiamo parlato
    allinizio di questo libro; non credo, comunque, si possa dissentire da Taylor (1992)
    quando afferma che vi sono due ragioni fondamentali per le quali non si possa accordare a
    Plutone lo status di pianeta, vale a dire la massa estremamente ridotta del sistema
    Plutone-Caronte (1.36x1025 g equivalenti a sole 0.0023
    masse terrestri) e l'orbita fortemente eccentrica (e = 0.250) ed inclinata (i = 17.2
    gradi).
 Ma non sono solamente queste le caratteristiche che fanno di Plutone un oggetto
    decisamente anomalo, un oggetto che, impiegando le parole di Stern (1992), "non ha
    niente di meglio da fare che sfidare la nostra convenzionale visione
    dellarchitettura del Sistema Solare".
 Infatti:
 1. la sua orbita è in risonanza 2:3 con quella di Nettuno, e
    questo garantisce che, pur intersecandosi le orbite di questi due corpi celesti, non si
    determini una collisione;
 2. i calcoli del suo moto orbitale su un periodo di 845
    milioni di anni, effettuati da G.J. Sussman e J.L. Wisdom del MIT, indicano che l'orbita
    di Plutone è caotica: questo rende possibile che si sia formato altrove ed abbia assunto
    l'orbita attuale nel corso della sua evoluzione (Binzel, 1990);
 3. il suo piano equatoriale è inclinato di 122 gradi rispetto
    al piano orbitale, situazione simile a quella riscontrabile per Urano ed indice di
    trascorsi dinamici molto travagliati;
 4. la sua densità è maggiore della densità tipica dei corpi
    gravitanti a così elevata distanza dal Sole: fanno eccezione, oltre a Plutone, il suo
    satellite Caronte e Tritone, satellite di Nettuno.
 Lipotesi che subito viene spontaneo formulare è quella che porta a considerare
    Plutone un avanzo dei meccanismi di formazione planetaria, lanciato casualmente in
    unorbita protetta (risonanza orbitale con Nettuno) ed in essa rimasto intrappolato:
    tutto sembrerebbe spiegato, tranne la presenza del suo satellite Caronte, scoperto da J.
    Christy nel 1987.
 Il periodo di rivoluzione di Caronte (6.38723± 0.00027 giorni)
    corrisponde al periodo rotazionale di Plutone, e così i due corpi sono vincolati in una
    situazione di sincronismo rotazione/rivoluzione apparentemente unica tra i corpi di
    dimensione intermedia del Sistema Solare (è probabile che una situazione analoga si possa
    presentare nel caso di alcuni asteroidi dotati di satellite).  Levoluzione
    mareale ha annullato ogni inclinazione tra le orbite originarie di Plutone e del suo
    satellite ed ha, inoltre, indotto tale orbita a diventare circolare: dallanalisi di
    tale situazione dinamica è impossibile stabilire se Caronte appartenga alla categoria dei
    satelliti regolari o a quella degli irregolari (Cruikshank e Brown, 1986), se la sua
    origine sia da ricercarsi nei momenti iniziali della formazione di Plutone stesso oppure
    in episodi successivi di impatto o cattura gravitazionale.
 Molti dati relativi a questa "strana coppia" sono stati ricavati dallo studio
    delle occultazioni reciproche di Plutone e Caronte, verificatesi nel periodo 1985-1990, ma
    i risultati ottenuti sono talvolta discordanti con quelli forniti dalle occultazioni
    stellari, che forniscono valori di densità inferiori, dunque un più elevato rapporto
    ghiaccio/roccia.  Il dato oggi accettato per la densità è di 2.029 ± 0.032 g/cm3 (Tholen e Buie, 1990), e rende Plutone, come detto pocanzi,
    molto simile a Tritone.  Ma gli elementi di somiglianza tra questi due corpi sono
    anche altri, come si può notare dalla seguente tabella:
 
      
        |  | TRITONE | PLUTONE |  
        | Diametro | 2705 km | 2330 km |  
        | Rotazione | retrograda | retrograda |  
        | Periodo di rotazione | 5.9 giorni | 6.4 giorni |  
        | Densità | 2.07 g/cm3 | 2.02 g/cm3 |  
        | Composizione superficie | ghiaccio di metano e azoto | ghiaccio di metano | (Da: Lang e Whitney, Vagabondi nello
    Spazio, 1994) La considerazione di queste somiglianze ha portato ad ipotizzare una origine comune,
    identificata proprio nel sistema satellitare di Nettuno: il sistema sarebbe stato
    drasticamente perturbato da un incontro con un corpo esterno di grande massa, che avrebbe
    anche causato la perdita di Plutone (Harrington e Van Frandern, 1979).La distruzione di un sistema regolare di satelliti come quello iniziale di Nettuno è
    certamente un evento possibile, ma si dovrebbe ipotizzare una massa del proiettile
    dell'ordine di 2-5 masse terrestri, postulando dunque lesistenza di un oggetto
    planetario di cui non vi è praticamente alcuna traccia osservativa.
 Ma questo non è lunico aspetto problematico dell'ipotesi-urto; l'orbita di Nettuno,
    infatti, è quasi un cerchio perfetto (e<0.01), dunque non reca alcun segno tangibile
    di un possibile incontro, che dovrebbe, al contrario, essere dinamicamente devastante.
      Aggiungiamo, infine, che la probabilità di una fuga di un satellite tipo Plutone
    è estremamente ridotta, anche perchè si dovrebbe rendere conto non solo della sua
    perdita da parte di Nettuno, ma anche del successivo intrappolamento in una risonanza
    orbitale proprio con lo stesso Nettuno.
 E proprio la valutazione di questi fatti che ha portato ad identificare il
    responsabile della distruzione del sistema planetario di Nettuno proprio nella cattura di
    Tritone (Farinella et al., 1980); la cattura, avvenuta probabilmente non molto tempo dopo
    la sua formazione, ha collocato Tritone su un'orbita retrograda intorno a Nettuno e ciò
    ha costituito per il satellite l'inizio di forti sollecitazioni gravitazionali.  Le
    forze mareali devono averne riscaldato l'interno, e forse si possono attribuire a questo
    fenomeno le strane e complesse strutture visibili sulla superficie del satellite (Binzel,
    1990).  Ricordiamo, a questo proposito, che le immagini della superficie alle quali
    R.P. Binzel si riferisce sono quelle inviate dalla sonda Voyager 2 che il 25 agosto 1989
    ha sorvolato Tritone ad una distanza di meno di 40.000 km.  Per inciso, la densità
    di craterizzazione indica per la superficie di Tritone unetà di circa 3 miliardi di
    anni, dunque si tratta di un oggetto relativamente giovane, anche se le valutazioni
    differiscono da zona a zona anche di un fattore 5 (Taylor, 1992).
 Se escludiamo, dunque, che lorigine di Plutone possa essere ricondotta alla
    distruzione del sistema satellitare di Nettuno siamo ancora al punto di partenza...
 La natura caotica dellorbita di Plutone rende molto difficile risalire con analisi
    dinamiche al suo luogo dorigine; si può, però osservare che:
 1. Si può escludere una origine nel Sistema Solare interno, e ciò non solo
    in forza della presenza su Plutone di ghiaccio dacqua e di metano, ma soprattutto
    perchè non si conosce alcun meccanismo dinamico in grado di far superare ad un corpo
    celeste della zona interna la "barriera" costituita da Giove.
 Se, poi, tale meccanismo esistesse davvero e fosse così efficiente, il Sistema Solare
    presenterebbe sicuramente una maggiore omogeneità tra i suoi componenti.
 2. Può essere esclusa anche unorigine nella zona di Giove-Saturno e
    questo perchè lelevato rapporto roccia/ghiaccio di Plutone (0.68-0.80) male si
    adatta ai valori tipici dei satelliti di medie dimensioni di Saturno (0.40-0.60) e non
    sembra possibile, date le sue ridotte dimensioni, che la perdita di ghiaccio possa essere
    attribuita a fenomeni di riscaldamento accrezionale (fatto avvenuto, invece, per i corpi
    più grandi quali Ganimede, Callisto e Titano).  Certamente non si può escludere che
    la perdita di ghiacci possa essere imputata ad un impatto estremamente violento che ha
    rimosso il ghiaccio in modo preferenziale rispetto ai silicati, un po lo stesso
    meccanismo che su Mercurio avrebbe rimosso i silicati rispetto alla componente metallica.
 3. Allo stato attuale, però, lunica regione possibile per collocarvi
    lorigine di Plutone è la zona trans-nettuniana: emerge in modo molto stringente,
    dunque, lidea che questo corpo celeste sia strettamente imparentato con gli oggetti
    della Fascia di Edgeworth-Kuiper.
 Se lo studio di Plutone presenta molti problemi ancora irrisolti, le cose si complicano
    ulteriormente se andiamo a considerare anche il suo satellite Caronte.  Le dimensioni
    di Caronte (caso unico nel Sistema Solare, paragonabile forse, con la dovuta cautela, al
    sistema Terra-Luna) sono la metà di quelle pianeta cui è gravitazionalmente legato, e la
    massa ne è circa il 20%: non si conoscono meccanismi di accrezione che possano originare
    una coppia di corpi celesti mutuamente gravitanti di dimensioni così simili tra loro.
      L'origine del sistema può pertanto essere identificata solo con un meccanismo di
    tipo collisionale, ipotizzando, cioè, che Plutone e Caronte abbiano avuto un'origine
    indipendente e che siano giunti a formare l'attuale sistema in seguito ad un urto
    reciproco. (Stern, 1992).
 Lipotesi è certamente esaustiva (anche perchè ha una oggettiva conferma
    nellelevato valore della densità di momento angolare, indice quasi certo di
    unorigine collisionale), ma offre il fianco ad una analisi di tipo statistico:
    quante sono le probabilità di una collisione tra due oggetti delle dimensioni di Plutone
    e Caronte?  Stern (1992) le considera praticamente nulle su tutta l'età del Sistema
    Solare, ma propone una possibile via d'uscita ipotizzando l'esistenza di una numerosa
    popolazione di oggetti tipo-Plutone.
 Per poter considerare l'evento della collisione sufficientemente probabile (probabilità
    del 50% che si verifichi almeno una volta in 4.5 miliardi di anni) sarebbero necessari un
    migliaio di questi oggetti nella regione compresa tra 20 e 30 U.A.  Analogo discorso
    vale per la cattura di Tritone cui si accennava in precedenza: solo la presenza di molte
    centinaia di "Tritoni" renderebbe anche questo evento sufficientemente probabile
    (Stern, 1992).  Attualmente queste ipotesi statistiche vengono rese più percorribili
    dalle scoperte che, a ritmo incalzante, hanno concretizzato l'ipotesi dell'esistenza della
    Kuiper Belt (Cochran et al., 1995; Stern, 1995).
 Comincia dunque in modo sempre più stringente a prendere piede l'idea che Plutone
    rappresenti il corpo di dimensioni maggiori (tra quelli fino ad ora conosciuti) degli
    oggetti che costituiscono la Fascia ipotizzata da Kuiper ed Edgeworth (Luu e Jewitt,
    1996); lanalisi dei parametri orbitali degli oggetti scoperti nella zona
    trans-nettuniana ha mostrato per molti di essi lesistenza di una risonanza orbitale
    con Nettuno uguale a quella che preserva Plutone da incontri ravvicinati con lultimo
    dei pianeti giganti, e ciò ha indotto i ricercatori ad introdurre la definizione di
    "Plutini" per tali oggetti.
 Ma su questi corpi approfondiremo il discorso più avanti; per il momento ritorniamo nella
    zona planetaria ed esaminiamo le sorprese che anche qui ci vengono riservate.
 
 2060 CHIRONE ED I CENTAURI Chirone è forse uno dei corpi più anomali sia
    fisicamente che dinamicamente tra quelli conosciuti del Sistema Solare: percorre in 51
    anni un'orbita fortemente eccentrica (e = 0.3786), con afelio posto a 18.9 U.A. e perielio
    a 8.5 U.A.  Al momento della sua scoperta (Kowal, 1977), Chirone fu classificato come
    asteroide e venne collocato nella classe tassonomica C, ma destò subito qualche
    perplessità sia la collocazione spaziale (prevalentemente tra Urano e Saturno) sia il
    tipo di orbita, più di tipo cometario che asteroidale.  La sua peculiarità era
    stata in qualche modo riconosciuta fin dalla sua scoperta, allorchè Marsden (IAUC 3129)
    lo soprannominò "Slow Moving Object Kowal".Inizialmente il suo diametro era stimato tra 150 e 400 km (Stern; 1992), ma recenti
    osservazioni (Altenhoff e Stumpff, 1995) effettuate nelle onde millimetriche (250 GHz)
    fanno ipotizzare per Chirone un diametro di circa 170 km.
 Le perplessità su Chirone, però, non provengono solamente dalla discordanza registrata
    tra dimensioni tipicamente asteroidali ed un'orbita di tipo cometario: osservazioni
    compiute tra il 1986 ed il 1988 indicavano senza ombra di dubbio variazioni di luminosità
    sicuramente attribuibili alla perdita di materiali volatili (Meech e Belton, IAUC 4770,
    1989).  Chirone, in altre parole, aveva iniziato a sviluppare una chioma mostrando in
    tal modo una spiccata natura cometaria.  Erano state ipotizzate anche altre cause
    responsabili della variazione di luminosità osservata, quali la possibile forma
    irregolare o una variazione di albedo superficiale, ma la spiegazione in termini di
    produzione di una chioma cometaria era quella più convincente (Hartmann et al., 1990).
 E non deve meravigliare il fatto che lo sviluppo della chioma avvenga ad una distanza
    così elevata dal Sole (circa 12.6 U.A.) dal momento che Meech e Jewitt nel 1987 avevano
    rilevato una chioma attorno alla cometa Bowell quando si trovava ancora a 13.6 U.A., e
    questa è, finora, la maggiore distanza in assoluto per l'osservazione di una chioma.
      Tale osservazione è consistente con la sublimazione da CO2
    ghiacciato.
 Tuttavia il "record" della distanza per unemissione cometaria potrebbe di
    nuovo toccare a Chirone, con 17.5 U.A., se venissero interpretate in tal senso le
    osservazioni del 1978 compiute da Bowell e Jewitt (Hartmann et al., 1990).  
    Sottolineiamo che, se si trattasse di una cometa, sarebbe senza dubbio caratterizzata da
    un nucleo di dimensioni di gran lunga maggiori di quello delle altre comete conosciute
    (circa 15 volte più grande del nucleo della cometa Halley).
 Qualche perplessità ha suscitato la mancanza di chioma in occasione dellultimo
    passaggio di Chirone al perielio (osservazioni compiute il giorno 8 febbraio 1996) e tale
    comportamento potrebbe essere ricondotto al meccanismo di espulsione dei gas e delle
    polveri tipico delle comete, fenomeno che non riguarda, come si è visto, l'intera
    superficie, ma solo piccole regioni attive.
 Per Chirone si presume che la superficie interessata all'attività di produzione della
    chioma sia <1% dell'intera superficie, ed il fatto che la sua attività sia stata più
    intensa all'afelio porta necessariamente a concludere che essa non dipenda solamente dalla
    distanza eliocentrica (Stern e Campins, 1996).  E' stata, in ogni caso, l'evidenza di
    questi fenomeni tipicamente cometari che ha suggerito per Chirone una interessantissima
    spiegazione: si potrebbe trattare dell'anello di congiunzione tra le comete ed i
    planetesimi ghiacciati che popolerebbero il Sistema Solare oltre Nettuno.
 A rafforzare questa ipotesi è intervenuta, negli ultimi anni, la scoperta di oggetti
    celesti caratterizzati da orbita ed evoluzione dinamica simili a quelle di Chirone,
    indicati con il termine di Centauri.  Si tratterebbe di oggetti di dimensioni
    intermedie tra quelle tipicamente cometarie (1-20 km) e quelle dei piccoli pianeti
    ghiacciati quali Plutone (~2300 km) e Tritone (~2700 km).
 La tabella seguente riassume alcune caratteristiche orbitali e fisiche dei Centauri
    conosciuti:
 
      
        | OGGETTO | a (UA) | Perielio (UA) | e | i | Diametro (km) | T rot. (h) |  
        | 2060 CHIRONE | 13.70 | 8.46 | 0.38 | 25 | 182±10 | 5.92 |  
        | 5145 PHOLUS | 20.30 | 8.68 | 0.57 | 7 | 185±22 | 9.98 |  
        | 7066 NESSUS | 24.73 | 11.84 | 0.52 | 16 | 62 (*) |  |  
        | 1994 TA | 16.82 | 10.69 | 0.31 | 5 | 28 (*) |  |  
        | 1995 DW2 | 25.03 | 18.84 | 0.25 | 4 | 68 (*) |  |  
        | 1995 GO | 18.14 | 6.79 | 0.62 | 18 | 60 (*) |  |  
        | 1997 CU26 | 15.72 | 13.05 | 0.17 |  |  |  | (*) valutato assumendo una albedo
    geometrica del 5% (valore tipico di una superficie cometaria)(Tabella adattata da: Stern e Campins - Nature, 382, 507; 1996)
 Il fatto che solo a tre degli oggetti riportati nella tabella sia stato attribuito un
    nome è legato alla consuetudine che, prima di assegnare un nome ad un nuovo oggetto
    celeste, debba essere nota con precisione la sua orbita.  La scoperta relativamente
    recente, e dunque la necessità di raccogliere dati più approfonditi, è perciò il
    motivo per il quale quattro di essi vengano identificati con le sigle assegnate nel
    momento della loro prima individuazione.  Gli studi sull'evoluzione dinamica delle
    orbite di oggetti provenienti dalla Fascia di Kuiper predicono l'esistenza, nella regione
    compresa tra 5 e 30 U.A. dal Sole, di una popolazione in equilibrio dinamico stimabile in
    5x105 - 106 comete e
    ~30-300 oggetti tipo-Centauri con diametro di 100 km o maggiore, in orbita tra i pianeti
    giganti.Essa deriverebbe da una popolazione 104 volte più
    numerosa, un grande bacino costituito appunto dalla Fascia di Kuiper (Stern e Campins,
    1996).
 In un approfondito studio (1996) J. Luu e D. Jewitt analizzano le diversità di colore tra
    i Centauri e gli oggetti della Kuiper Belt e concludono affermando di non aver rilevato
    significative differenze.  Questo non significa aver dimostrato in modo definitivo
    che la Fascia di Kuiper sia il luogo di origine dei Centauri, ma è certamente una
    significativa prova in questa direzione.
 L'importanza dei Centauri quali oggetti provenienti dalla Fascia di Kuiper è enorme, e ci
    sono due buone ragioni per affermarlo:
 1. data la loro prossimità al Sole, essi risultano molto più luminosi di
    tutti gli altri oggetti provenienti dalla Fascia di Kuiper e dunque offrono possibilità
    maggiore di studio;
 2. nel corso della loro orbita, a differenza degli altri Kuiper-belt objects
    la cui situazione dinamica li mantiene in zone caratterizzate da temperature anche
    inferiori a 60-70 °K, giungono a sperimentare temperature di 120-150 ºK e questo spiega
    la possibilità di rilevare attività riconducibili a fenomeni di sublimazione, fatto
    evidenziato per il momento solamente per Chirone.
 Le analisi fino ad ora compiute sui Centauri mostrano talvolta alcune discrepanze tra i
    parametri fisici quale ad esempio la morfologia superficiale; se la superficie di Chirone,
    infatti, può essere considerata grigia (vale a dire neutra), non è così per Pholus e
    per 1993 HA2 risultati estremamente rossi.  Nello studio appena
    citato, J. Luu e D. Jewitt sviluppano l'idea che le diversità di colore riscontrate siano
    da attribuire ad un meccanismo di rinnovamento superficiale dovuto ad episodi di
    collisione (collisional resurfacing) che contrasta con l'arrossamento causato
    dall'azione dei raggi cosmici sui composti organici delle superfici.  L'impatto,
    infatti, porterebbe in superficie del materiale non ancora bombardato dai raggi cosmici,
    dunque di colore più chiaro della restante superficie visibile.  Non si esclude,
    però, l'ipotesi che i differenti colori possano indicare diversa composizione chimica,
    riconducibile a luoghi di origine diversificati.
 Poichè la densità superficiale del Kuiper disk è stimata (Stern, 1996) dell'ordine di
    quella della Fascia Principale degli asteroidi (vale a dire ~3x1023
    g/UA2), zona nella quale si è visto come il processo di
    collisione giochi un ruolo evolutivo molto importante, è logico potersi aspettare che un
    oggetto proveniente da questa zona porti ancora sulla sua superficie i segni di recenti
    impatti.
 Questa considerazione depone a favore dell'idea che Chirone (provenendo dalla Kuiper-belt)
    occupi la sua attuale orbita da tempi più recenti rispetto ad altri Centauri, da ciò
    discende che l'azione dei raggi cosmici non avrebbe ancora avuto modo di cancellare
    (arrossandone il colore) le zone superficiali messe allo scoperto dagli impatti.  
    Lipotesi di una sua origine più recente troverebbe inoltre conferma nella presenza
    di quella attività cometaria assente, invece, negli altri oggetti ad esso simili.
 Un ulteriore elemento che confermerebbe l'ipotesi dell'immissione recente di Chirone nella
    sua orbita attuale proviene proprio dall'analisi dinamica dell'orbita stessa, che risulta
    instabile e caotica su scale di tempi di poche migliaia di anni.  Il fatto, poi, che
    Chirone abbia incontri ravvicinati con Saturno in tempi dellordine di un migliaio di
    anni, rende questo corpo celeste molto simile a Phoebe, satellite di Saturno con
    dimensioni di 160 km, che occupa la sua attuale posizione quasi certamente in seguito ad
    un episodio di incontro ravvicinato che si è concluso con la sua cattura da parte del
    pianeta, evento testimoniato in modo quasi decisivo anche dalla sua orbita retrograda.
      Tale somiglianza, inoltre, si manifesta anche nelle dimensioni e nel colore
    superficiale.
 Da quanto si sta dicendo, dunque, emerge l'evidenza che le nostre conoscenze relative alle
    zone più esterne del Sistema Solare sono sul punto di essere radicalmente modificate; e
    non si tratta solamente di aggiungere un altro corpo celeste al gruppo dei pianeti
    (prospettiva che stava alla base della ricerca del Pianeta X), ma di rivedere l'intero
    modello aggiungendo una nuova numerosissima popolazione.
 
 UNA POPOLAZIONE TUTTA DA SCOPRIRE Nella descrizione dei fenomeni aggregativi che
    hanno portato alla formazione di Urano e Nettuno, F. Hoyle (1979) ipotizza, quale punto di
    partenza, uno strato di ghiacci con massa totale di circa 2x1026
    kg (la massa complessiva attuale di Urano e Nettuno) condensatisi in blocchi, dotati di
    orbite quasi circolari nello stesso piano, in un tempo di poche rivoluzioni orbitali
    intorno al Sole.Una distribuzione ordinata di orbite pressochè concentriche non è però destinata a
    durare per molto tempo perchè gli effetti delle reciproche perturbazioni gravitazionali
    finirebbero con il modificare drasticamente la situazione (Figura 24 - Hoyle, Cosmogonia
    del Sistema Solare, pag. 56-57, fig. 8-9) portando un sistema caratterizzato da orbite
    ordinate circolari (A) a trasformarsi in un sistema meno ordinato (B).
  La
    scala temporale dell'aggregazione di Urano e Nettuno può essere riassunta nella seguente
    tabella:
 
      
        | Stadio | Massa corpi (kg)
 | N. corpi | Scala temp. (anni)
 |  
        | 1 | 5 x 1018 | 4 x 107 | 103 |  
        | 2 | 4 x 1024 | 50 | 106-108 |  
        | 3 | 1026 | 2 | 3 x 108 | (Da: Hoyle, Cosmogonia del Sistema
    Solare, pag.59) Non appare dunque troppo azzardata lipotesi che molti dei planetesimi ghiacciati
    ipotizzati da Hoyle e presenti inizialmente in questa zona non siano stati interessati dai
    processi aggregativi sia per la possibile scarsa efficienza del meccanismo accretivo
    stesso, sia perchè alcuni di essi avrebbero occupato orbite sufficientemente sicure,
    protette, cioè, dallincontro con altri corpi dallazione di meccanismi di
    risonanza orbitale.  E non si può neppure scartare l'ipotesi che molti altri siano
    stati lanciati su orbite più esterne (o interne) al Sistema Solare o ne siano stati
    espulsi.  La possibilità, dunque, di trovare ancora di questi corpi nelle regioni
    più esterne del Sistema Solare (dove l'influenza gravitazionale dei pianeti più grandi
    è meno intensa) può perciò essere considerata una ipotesi percorribile.Per inciso, in questo scenario ipotizzato da Hoyle il numero delle collisioni con corpi di
    questo tipo che possono aver interessato la Terra in 200 milioni di anni è circa 30.
      Ipotizzando per ogni corpo una massa di 1020 kg ed
    il fatto che la Terra fosse stata in grado di trattenere tutto il materiale apportato
    dall'impatto, allora la massa totale del materiale verrebbe a quantificarsi in 3x1021 kg, in gran parte formato di ghiacci (soprattutto H2O e CO2) sufficiente a rendere
    ragione sia della quantità d'acqua degli oceani, sia dei carbonati presenti nelle rocce
    calcaree della Terra (Hoyle, 1979).
 La presenza di planetesimi la cui accrezione sarebbe sfociata nella formazione di Nettuno
    è ipotizzata da molte teorie sullorigine del sistema planetario; si ritiene,
    inoltre, che questo pianeta si sia formato più vicino al Sole della sua posizione
    attuale.  Mentre accumulava materiale, il proto-Nettuno era interessato da un gran
    numero di incontri ravvicinati con i planetesimi presenti nella zona, deviandone una parte
    verso lesterno (a costituire la Nube di Oort) ed altri verso le parti più interne;
    i modelli quantitativi mostrano che questi ultimi furono la maggioranza, cosicchè Nettuno
    finì per allargare gradualmente la sua orbita (con alcune conseguenze che approfondiremo
    parlando delle risonanze attive nella Fascia di Kuiper) fino a raggiungere quella odierna.
 Negli anni 50 Edgeworth (1949) e Kuiper (1950) sottolineavano come non fosse
    plausibile lidea che oltre Nettuno si potesse manifestare un repentino ed improvviso
    svuotamento di materiale planetario ed ipotizzavano, pertanto, la presenza di un disco di
    materiale "avanzato" dai processi di accrezione planetaria.  Date le
    ridotte dimensioni di questi planetesimi, la loro individuazione da Terra era praticamente
    impossibile con la strumentazione allora in possesso dei ricercatori, e a questo proposito
    già abbiamo avuto modo di sottolineare gli sforzi profusi nella ricerca del fantomatico
    Pianeta X.
 Il nuovo grande impulso alla ricerca di oggetti posti ai confini della zona planetaria del
    Sistema Solare è venuto dalla fondamentale scoperta di 1992 QB1.  Si tratta di un
    oggetto trans-plutoniano (provvisoriamente chiamato Smiley) di magnitudine 23 scoperto il
    30 agosto 1992 da D. Jewitt e J. Luu; la determinazione dei parametri orbitali ha
    richiesto molti mesi di osservazione a causa della velocità orbitale estremamente bassa
    (circa 75 arcsec/giorno).  Il diametro, dedotto dalla luminosità e dalla distanza,
    è stimato in circa 200 km.
 Questa prima scoperta è stata seguita (28 marzo 1993) dallindividuazione di 1993 FW
    (provvisoriamente chiamato Karla), un oggetto simile al precedente, caratterizzato da una
    distanza eliocentrica compresa tra 39 e 48 U.A. e da un diametro di poche centinaia di km
    (IAUC 5730).
 La portata storica di queste due scoperte viene paragonata da Stern del Southwest Research
    Institute del Texas (1992) alla scoperta di Cerere, il primo asteroide, nel 1801.  E
    non si può non condividere questo collegamento, soprattutto alla luce delle successive
    scoperte che, a ritmo incalzante, hanno portato ad identificare nel biennio 1993-94 ben 17
    oggetti trans-nettuniani, altri 14 nel 1995 e altrettanti nel 1996; attualmente (settembre
    1997) la lista degli oggetti trans-nettuniani scoperti comprende in tutto 60 corpi.
 Molti di questi oggetti (circa il 40%) hanno il valore del semiasse maggiore
    dellorbita molto prossimo a 39 U.A. e questo ha portato ad indagare sulla possibile
    esistenza di un meccanismo di risonanza orbitale con Nettuno del tipo di quello che
    interessa Plutone; ma sulla complessità dinamica della zona trans-nettuniana ritorneremo
    più avanti.  Per il momento mi preme, ancora una volta sottolineare le difficoltà
    osservative presenti nell'individuazione di questi oggetti: in definitiva si tratta di
    "scoprire oggetti delle dimensioni di una montagna, posti ad una distanza di
    quattro miliardi di km, su uno sfondo di velluto nero" (Stern, Comunicato stampa
    186° Congresso della A.A.S., Pittsburgh, PA, 14 giugno 1995).
 Appare a questo punto evidente che lipotesi dellesistenza del Pianeta X debba
    ragionevolmente lasciare il posto a quella, osservativamente già verificata, della
    presenza di una nuova folta popolazione di corpi minori ai confini della zona planetaria
    del Sistema Solare.  Si aggiunga, quale colpo di grazia allipotesi
    dellesistenza di un pianeta responsabile delle anomalie orbitali di Urano e Nettuno,
    lanalisi dei dati forniti dalla traiettoria del Voyager 2, transitato proprio in
    prossimità di questi due pianeti negli anni 80.  Questi incontri ravvicinati
    hanno permesso di determinare in modo estremamente accurato i valori delle masse dei due
    pianeti ed impiegando tali valori nel calcolo delle orbite si è potuto notare che le
    differenze tra i calcoli e le osservazioni si riducono al di sotto degli errori
    osservativi.
 Già si è avuto modo in più occasioni di segnalare come i corpi che costituiscono la
    popolazione della Kuiper-belt si possano dividere in due grandi gruppi:
 1. la popolazione dei corpi più piccoli, di dimensioni
    cometarie, destinati a subire le perturbazioni gravitazionali dei pianeti giganti: al caos
    dinamico risultante è in ultima analisi riconducibile l'immissione delle comete a corto
    periodo nella zona planetaria, dove normalmente vengono rilevate.
 2. la popolazione degli oggetti più grandi (tipo QB1), i primi
    ad essere scoperti proprio per le loro dimensioni; a questo secondo gruppo potremmo
    ricondurre i Centauri e anche Plutone, il maggiore tra quelli fino ad ora scoperti.
 Da questultimo, però, non possiamo ricavare grandi informazioni sulla composizione
    superficiale del resto della popolazione della Kuiper-belt a causa delle interazioni tra
    la superficie e l'atmosfera.  In generale si ipotizza per questi oggetti una
    struttura interna ricca di abbondanti ghiacci molecolari (H2O,
    CO2, CO) in sintonia con la loro accumulazione nelle
    regioni esterne della nebulosa Solare, a temperature di soli 40-50 K.
 Le superfici, secondo quanto suggerito da Luu e Jewitt (1996), sarebbero ricche di
    sostanze la cui struttura più complessa e polimerizzata è riconducibile all'azione dei
    raggi cosmici, situazione confermata anche da esperienze di laboratorio, che hanno
    mostrato come il bombardamento con particelle ad alta energia di miscugli di ghiacci di
    tipo astrofisico (H2O, NH3,
    CH4) provocano una perdita selettiva di idrogeno, con la
    conseguente formazione di residui carboniosi.  Ed è proprio tale crosta (il
    cosiddetto irradiation mantle), in grado anche di inibire ogni successivo fenomeno
    di sublimazione, che ci si aspetta di trovare come copertura superficiale di questi
    oggetti.
 La Fascia di Kuiper, però, riveste grandissima importanza non solo per essere ormai
    considerata il serbatoio delle comete a corto periodo, ma anche perchè offre la
    possibilità, usando le parole di H. Levison (Southwest Research Institute, TX), di "avere
    a disposizione il migliore laboratorio del Sistema Solare per studiare la formazione dei
    pianeti: una regione nella quale il meccanismo di accumulazione ha fatto fiasco"
    (Comunicato stampa 186º Congresso della A.A.S., Pittsburgh, PA, 14 giugno 1995).
 Il problema maggiore da risolvere non è, però, l'identificazione delle cause che hanno
    inibito l'ulteriore aggregazione dei planetesimi già formati, bensì la formazione stessa
    dei corpi maggiori (100<R<400 km) costituenti la popolazione della Kuiper-belt.
      L'analisi dinamica effettuata (Stern, 1995) porta ad escludere una accrezione di
    tipo binario in quanto i tempi necessari sono di un ordine di grandezza maggiori dell'età
    del Sistema Solare.  Una possibile ipotesi è che tali oggetti si siano formati
    direttamente dalla nebulosa originaria, ma è altrettanto plausibile suggerire meccanismi
    alternativi ipotizzando una evoluzione del disco che, in passato, avrebbe potuto avere
    spessore maggiore di quello attuale: la maggiore densità potrebbe pertanto aver permesso
    una rapida accrezione di corpi tipo QB1.
 Come si può notare, lattività di ricerca e di analisi degli oggetti
    trans-nettuniani è in pieno svolgimento, sia per quanto riguarda lo studio delle loro
    caratteristiche fisiche che per quello, non meno avvincente, inerente le peculiarità
    dinamiche.  Ed è proprio dalle analisi dinamiche della popolazione dei KBO
    (Kuiper-belt object) che emergono interessantissime conclusioni riguardanti gli stretti
    legami esistenti tra questi nuovi oggetti e quelli noti da tempo (Plutone, Caronte,
    Tritone, Chirone, ...).
 La regione dinamicamente più interessante della Fascia di Kuiper è probabilmente la
    risonanza di moto medio 3:2 con Nettuno; gli oggetti che popolano tale risonanza sono
    caratterizzati dalla stessa situazione orbitale che contraddistingue Plutone, il quale,
    come si è già sottolineato, compie 2 rivoluzioni intorno al Sole nel tempo in cui
    Nettuno ne porta a termine 3.  Questa risonanza orbitale costituisce per Plutone una
    vera e propria polizza per il futuro, preservandolo dalle pesanti influenze gravitazionali
    di Nettuno, che potrebbero finire con lo sconvolgere in modo pesantissimo la sua orbita.
 Osservando i parametri orbitali degli oggetti trans-nettuniani scoperti (i dati aggiornati
    al settembre 1997 riportano 60 oggetti), si può notare che circa il 40% di tali corpi
    celesti sembra essere confinato nella stessa risonanza che caratterizza Plutone; questa
    circostanza ha portato i ricercatori a coniare il termine di Plutini allorchè ci
    si riferisca ai KBO confinati nella suddetta risonanza.  Nella figura seguente (Figura
    25) sono riportati in un grafico a-e  le posizioni dei 60
    oggetti scoperti (fino al settembre 1997) ed appare evidente laddensamento di punti
    in corrispondenza della risonanza 3:2.
 
  La
    struttura dinamica della risonanza 3:2 è in realtà molto complessa, anche perchè in
    essa si sovrappongono altri due meccanismi distinti, la risonanza secolare n 18 e la risonanza di Kozai
    (Morbidelli et al., 1995).  Analisi numeriche (Duncan et al., 1995) hanno evidenziato
    lesistenza di orbite stabili su tempi di almeno 4 miliardi di anni, ma anche la
    presenza di "vie di fuga" alle quali si possono ragionevolmente ricondurre le
    origini delle comete a corto periodo; ed a questo proposito dobbiamo aggiungere che si
    ritiene siano due i meccanismi responsabili dellespulsione dalla risonanza 3:2 delle
    comete: la diffusione caotica delle orbite e veri e propri "calci" collisionali. Lanalisi della struttura della risonanza condotta attraverso simulazioni che
    abbracciano tempi di 4 miliardi di anni (Morbidelli, 1997a) ha confermato lestrema
    complessità dei comportamenti dinamici, evidenziando lesistenza sia di orbite
    regolari, non interessate (almeno entro i limiti temporali considerati dalle simulazioni)
    da alcun fenomeno di diffusione, sia di orbite estremamente caotiche caratterizzate da
    variazioni frenetiche sia del valore delleccentricità che dellinclinazione e
    che conducono molto rapidamente (400 milioni di anni) ad incontri ravvicinati con Nettuno,
    sia, infine, di situazioni dinamiche che, pur avendo anchesse come risultato finale
    il pesante intervento gravitazionale di Nettuno, effettuano tale incontro solo dopo un
    lunghissimo periodo (3.6 miliardi di anni).
 Sono state individuate anche altre possibili situazioni di risonanza, ma il ridotto numero
    di oggetti scoperti non consente precise analisi dinamiche.  E, comunque,
    lampante lanalogia con quanto, allinizio del secolo scorso, si verificò dalla
    scoperta di Cerere in poi.  Le scoperte e le relative analisi sono solamente agli
    inizi ed il rischio di suggerire conclusioni che alla luce di scoperte successive si
    riveleranno sbagliate è certamente grande (è comunque il rischio che accompagna sempre
    lavanzare delle conoscenze scientifiche).
 Ma una cosa è certa, ed è la consapevolezza che siamo in presenza di un momento
    fondamentale della planetologia: la caccia al Pianeta X, dunque, non ha portato proprio
    ciò che si sperava di trovare, ma ritengo che il risultato sia stato decisamente più
    significativo.
 E non si può non lasciarsi andare ad un sorriso pensando che, come hanno giustamente
    annotato Jane Luu e David Jewitt, lo sforzo teso a portare a 10 il numero dei pianeti ha
    avuto il suo curioso coronamento nel ridurne il conteggio a 8, visto che Plutone è ormai
    considerato il maggiore rappresentante degli oggetti della Kuiper Belt.
 
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